🇮🇹 LA TEORIA SVEDESE DELL’AMORE
- P. Ezio Lorenzo Bono, CSF
- 16 ore fa
- Tempo di lettura: 4 min

Commento al Vangelo della
III Domenica di Pasqua (Anno C) (04/05/2025)
Gv 21,1-19
I.
La "Teoria svedese dell'amore" è un famoso film-documentario del 2015 di Erik Gandini che si basa su una teoria formulata da alcuni politici svedesi nel 1972, secondo cui la società doveva compiere un salto di maturità: dopo la conquista della rivoluzione sessuale e dell'uguaglianza di genere, lo Stato avrebbe dovuto garantire a ogni individuo i bisogni primari per renderlo totalmente indipendente dagli altri. Donne indipendenti dagli uomini, genitori anziani indipendenti dai figli, figli adolescenti indipendenti dai genitori, ogni persona indipendente dal proprio partner. Il film mostra in modo impietoso alcune concretizzazioni di questa teoria: un anziano ricco trovato morto nella sua abitazione dopo due anni; una donna che riceve un pacco refrigerato per autoinseminarsi senza partner; giovani che si rendono irreperibili, senza più rispondere ai messaggi o farsi vedere; altri spariti nel nulla, senza nessuno che si accorga della loro assenza.
Si è confusa la felicità con l'indipendenza, e l'autosufficienza è diventata il nuovo ideale. I rapporti umani sono ridotti al “minimo gestionale”, e l'altro è visto come ostacolo alla mia autonomia. Non più matrimoni romantici e fedeli per tutta la vita, ma "matrimoni minimi", accordi provvisori e funzionali, aperti ad altri partner.
Questa "teoria svedese dell'amore" porta a esiti piuttosto angoscianti, perché spinge a cercare la felicità nell'indipendenza assoluta, cancellando la bellezza delle relazioni umane. L'altro non deve essere un fastidio o uno strumento necessario con cui entrare in contatto per soddisfare le mie necessità, ma è la condizione stessa dell'esistenza umana. Il "tu" non è un incidente di percorso, ma è ciò che permette all'"io" di essere pienamente se stesso (gli amanti della filosofia staranno pensando alla "teoria del volto dell'altro" di Emmanuel Lévinas e all'idea “in principio è la relazione” di Martin Buber).
II.
Al di là delle teorie filosofiche e psicologiche, sebbene importanti per comprendere l'uomo, per noi è più importante conoscere la "teoria cristiana dell'amore". Quelle religioni che pensano Dio come essere assoluto e solitario sottendono una specie di "teoria svedese dell'amore" anche per Dio. Il Dio di queste religioni, infatti, non ha bisogno di nessuno, vive senza relazione. Il Dio cristiano, invece, è Trinità: è relazione eterna di amore tra Padre, Figlio e Spirito Santo. Non solo: Dio ha voluto che la sua esistenza non fosse chiusa in sé stessa nella Trinità, ma aperta alla creazione. Non ha voluto pensare se stesso senza l'uomo. La relazione tra le tre Persone divine è essenziale perché Dio sia Dio; così anche la relazione con l'uomo è decisiva, perché Dio ha voluto essere il "Dio-dell'uomo". Il nostro Dio non è quell'essere perfettissimo e immutabile dei filosofi o di alcune religioni, ma è un Dio "umano", che ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza e lo ha reso suo interlocutore libero. Questo perché un vero rapporto d'amore è possibile solo tra due libertà mature. L'amore del bambino verso i genitori è meraviglioso, ma è ancora acerbo: è amore di dipendenza, di bisogno. Quando il figlio cresce, diventa uomo, conquista la sua autonomia e sceglie di amare liberamente, allora l'amore raggiunge la sua pienezza e la sua bellezza.
È questo, secondo me, il senso profondo del dialogo tra Gesù e Pietro nel Vangelo di questa domenica. Dopo il fallimento del rinnegamento, Gesù non lo sgrida, non lo rimprovera. Gli pone una sola domanda, ma la ripete tre volte: "Mi ami tu?". Pietro, ormai trasformato, risponde: "Sì, Signore, tu lo sai che ti amo". Non è più l'amore immaturo di chi vuole primeggiare o essere riconosciuto. È l'amore maturo di chi ha imparato ad affidarsi, ad accettare i propri sbagli, a fidarsi dell'amore ricevuto. Gesù non chiede altro: due libertà che si incontrano, si riconoscono e si scelgono. In questo dialogo, vediamo che per Gesù la relazione d'amore, libera e matura, non è un elemento accessorio della fede, ma il suo cuore stesso. Pietro ora è pronto ad amare come Gesù, perché ha raggiunto la sua libertà, ha vinto le sue paure, ha accettato i propri sbagli e ha riconosciuto l'amore. E come Gesù, ora sarà pronto a donare anche lui la sua vita, perché ha compreso che davvero non c'è amore più grande di chi dona la vita.
III.
Vorrei concludere invitandovi a guardare il video della canzone "11 vidas" del cantante brasiliano Lucas Lucco. È un inno all'amore adulto, maturo, libero. Un figlio, ormai cresciuto, guarda suo padre negli occhi e gli dice emozionatissimo: "Se Dio mi desse una chance di vivere un'altra volta, io lo vorrei solo se avessi te". Il video si chiude con questa frase: "Tu mi hai detto che mi hai creato per il mondo. Ma il mio mondo sei tu".
Non so se gli svedesi siano contenti della loro teoria. Il filosofo e sociologo Zygmunt Bauman, riflettendo sulle contraddizioni di un sistema ad alta protezione sociale ha affermato: «La felicità non viene da una vita senza problemi, ma dal superamento delle difficoltà. L'indipendenza non è la felicità; alla fine porta ad una completa, assoluta, inimmaginabile noia». Guardando alcuni film e serie svedesi recenti, che sembrano riscuotere grande successo anche su Netflix, sembra che anche loro sentano forte il bisogno di relazioni profonde e autentiche, che va oltre la loro "teoria svedese dell'amore". Da parte mia, so che non esiste teoria dell'amore più bella, più vera e più umana di quella cristiana, e cioè che l'amore più grande non è di chi tiene la vita per sé, ma chi la dona agli altri.
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