Commento al Vangelo della Solennità del Corpus Domini
Mc 14,12-16.22-26 (Prendete, questo è il mio corpo)
I.
Sto scrivendo questa riflessione, dondolato dal treno che da Firenze mi riporta a Roma, dopo aver visitato la splendida mostra di Alselm Kiefer dal titolo: “Angeli caduti”.
A dire il vero, avevo già preparato nei giorni scorsi la riflessione sulla Solennità del Corpus Domini, che celebriamo questa domenica, dove avevo descritto Gesù Cristo come l' “anticannibale” per eccellenza. Invece di nutrirsi della carne altrui, come si faceva nel cannibalismo rituale, offre se stesso come nutrimento per tutti.
Dopo aver visto queste opere di Kiefer, ho voluto scrivere una nuova riflessione. Di questo artista, uno dei più grandi della contemporaneità, avevo già ammirato gli imponenti "Sette Palazzi Celesti" all'Hangar Bicocca di Milano, i suoi quadri a tema montagne all'esposizione di Napoli e le sue opere al Centre Pompidou di Parigi, ma questa esposizione di Firenze è quella che mi ha emozionato di più. Vi consiglio davvero di visitarla.
Kiefer è un artista colto e nelle sue opere confluiscono riferimenti continui alla letteratura, alla storia, alla mitologia, alla filosofia («la pittura è filosofia», è solito affermare) e alla teologia. Per “Angeli caduti” intende tutta l'umanità decaduta e invita a riflettere sulla natura umana, sulle sue miserie e grandezze, nella dialettica continua tra il bene il male, tra lo spirito e la materia. Gli angeli caduti sono il risultato della lotta contro la divinità in un impeto di indipendenza e portano in sé la tragica conseguenza di questa sfida persa, che li ha portati non ad una maggiore libertà, ma a una più grande miseria. Un'umanità decaduta che alterna sulla sua mensa il pane degli angeli e i rifiuti della terra.
II.
La Solennità del Corpus Domini ci ricorda la nostra natura di angeli che, seppur decaduti, possono e devono continuare a nutrirsi con il pane divino, il “pane degli angeli”, che è appunto l'Eucaristia. Gesù, nell'ultima cena, quando istituisce questo sacramento, dice a tutti i suoi apostoli, compreso Giuda Iscariota: “Prendete questo è il mio corpo... questo è il mio sangue”. Lo dice a tutti quegli apostoli che un'ora dopo lo avrebbero abbandonato. Nessuno di loro, dunque, era degno di quel pane e vino divini che avevano ancora nello stomaco mentre abbandonavano Gesù o mentre dicevano “io non conosco quell'uomo”.
Papa Francesco, suscitando le ire dei puristi, ha detto che l'Eucaristia non è premio per i buoni, ma rimedio per i malati, i peccatori. Sarebbe come dire che l'Eucaristia è il pane non solo degli angeli che volano attorno al trono di Dio ma anche e soprattutto degli angeli decaduti con le ali tarpate, che, dopo tanti tentativi di volare lontano da Dio e di raggiungere altri soli come Icaro, si ritrovano caduti a leccarsi le ferite e ancora più affamati di quel pane che tante volte hanno rigettato.
III.
Kiefer conclude la sua esposizione con la breve poesia di Salvatore Quasimodo, scritta a grandi lettere su una parete dell'ultima sala:
“Ognuno sta solo sul cuor della terratrafitto da un raggio di sole:ed è subito sera”.
Questi versi si pongono come sintesi della traiettoria artistica della mostra. Richiamano il crepuscolo della storia, la precarietà della vita e la transitorietà del tempo ed esprimono non solo la visione esistenzialista del poeta Quasimodo, ma anche quella del nostro artista: la solitudine, l'affanno per una breve felicità e il soccombere alla morte. Questa è l'ineluttabile conclusione della storia e il destino esistenziale degli uomini in quanto “angeli caduti”. Anche per Quasimodo l'uomo è un congiunto di titanismo e autocommiserazione, proprio come l'angelo caduto di Kiefer, una solitudine trafitta da un raggio di sole, un miraggio fugace che svanisce rapidamente con il sopraggiungere della morte: “ed è subito sera”. La parabola del viaggio dell'uomo, per Kiefer sulle orme di Quasimodo, si conclude con la morte.
Kiefer, secondo me, sembra dimenticare che gli angeli, anche se caduti, non muoiono mai perché si nutrono del pane degli angeli e quindi sono immortali. E sembra dimenticare, nonostante tutte le sue conoscenze bibliche, che nella Genesi, dopo la sera, c'è il mattino: “E fu sera, e fu mattina”.
Anche il mio viaggio in treno sta terminando e già intravvedo le luci delle case di Roma mentre sopraggiunge la sera. Nella mia mente ritornano le immagini dorate delle opere del nostro artista, e penso a com'è dolce viaggiare sapendo che la fine del viaggio della nostra vita, cioè la sera che sopraggiunge tanto rapidamente, non è la fine di tutto, ma è solo il preludio di un mattino senza fine.
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