top of page

🇮🇹 IL SORRISO DI DIO 🇵🇹 O SORRISO DE DEUS 🇬🇧 THE SMILE OF GOD



🇮🇹 IL SORRISO DI DIO

Una riflessione per la XVII Domenica, T.O. - B. (25–7-2021)

< Gv.6,1-15 (La moltiplicazione dei pani).

I.

Circa 25 anni fa, tornato dalla missione in Brasile, per un periodo svolsi il ministero pastorale in Svizzera, prima di essere inviato in Africa. Dopo alcuni anni, mentre mi trovavo in ferie in Italia, fui invitato a un incontro in una delle parrocchie dove avevo prestato servizio in Svizzera, per parlare delle missioni. Parlai della situazione di miseria in cui viveva la maggior parte della popolazione in America Latina e in Africa e della grande ingiustizia che vede l’80% delle risorse mondiali nelle mani del 20% della popolazione. Alla fine, una signora che rimase infastidita dalle cose che avevo detto mi disse in modo irritato: “noi qui stiamo bene, siamo ricchi, perché lavoriamo molto”. Al che non riuscì a trattenermi e in modo forse poco caritatevole le risi in faccia. E le risposi: “questo lo può raccontare a se stessa o ai suoi compaesani, per mettersi a posto la coscienza, ma non venga a raccontare a me queste stupidaggini”.

II.

La signora, stizzita mi disse che tutte le mattine si alzava alle 7 e poi con la sua auto andava al lavoro. Faceva una pausa pranzo di un’ora per mangiare alla mensa o in un ristorante e nel primo pomeriggio, dopo sette ore di lavoro in ambienti climatizzati, tornava a casa. E alla fine di un mese di duro lavoro riceveva il suo bel salario frutto, diceva lei, del suo sudore.

Io le risposi: In America Latina ci sono milioni di boia-fria che si alzano alle tre del mattino, per prendere il camion che passa a prenderli per portarli nei campi dove lavorano anche 12 ore al giorno, per lo più sotto il sole cocente, con una pausa di mezzora per mangiare il loro cibo non riscaldato (da li il nome boia-fria). E alla fine del mese ricevevano un misero salario che alla signora svizzera non sarebbe bastato neanche per pagare i caffè che beveva in un mese.

Così pure in Africa c’erano le “mamanas” (le mamme, le donne) uscire prima dell’alba per lavorare nelle “machambe” (orti) e caricare sulla testa enormi pesi per i chilometri e chilometri che percorrono ogni giorno a piedi. E tutto questo massacrante lavoro per portare qualcosa da mangiare ai loro figli.

Sarà che la cara signora svizzera lavorava di più di queste persone?

Lo può dire a chi non ha mai vissuto nel cosiddetto Terzo Mondo o a chi del resto del mondo conosce solo i villaggi turistici dove ha fatto le vacanze o che ha visto attraverso gli oblò delle navette spaziali turistiche.

III.

Ascoltando il Vangelo della “moltiplicazioni” dei pani e dei pesci, mi chiedo: ma sarà che tra i cinquemila uomini che avevano seguito Gesù nessun altro aveva preso con se del cibo, delle merende, il pranzo al sacco, se non solo quel ragazzino?

Io penso che altri avevano qualcosa nelle loro bisacce, ma avranno pensato: “questo è il cibo che ho comprato con i miei soldi, per me e per la mia famiglia. Perché lo dovrei dividere con quei fannulloni?”. Probabilmente si saranno nascosti dietro qualche cespuglio per mangiare il pranzo al sacco, “frutto del loro sudore”. E così, invece di metterlo in comune, come ha fatto quel ragazzo, se lo sono mangiato da soli. E gli altri? Che si arrangino!

Immaginiamo la scena: da una parte questi gretti che si ingozzano in fretta di nascosto per non dovere dividere niente con gli altri e dall’atra parte questo ragazzino che porge la sua cesta a Gesù che gli sta sorridendo.

IV.

Papa Francesco, come sappiamo, ha lanciato il Patto Educativo Globale per cambiare il mondo attraverso l’educazione. Bisogna cambiare le idee di economia, politica, sviluppo perché quelle che si insegnano oggi nelle scuole e nelle università servono solo per mantenere lo status quo, lasciare il mondo così come è, dove i pochi che hanno le possibilità le sfruttano per arricchirsi sempre di più, scordandosi del resto dell’umanità che vive nella povertà. Per questo il Papa invita tutti coloro che operano direttamente o indirettamente nell’educazione a impegnarsi per costruire la fratellanza universale (scopo principale del Patto Educativo) attraverso la promozione della persona e non dell’individuo, investendo le migliore energie per un’educazione di qualità per tutti e educando a mettersi a servizio delle comunità.

Quel ragazzino che mette a disposizione la sua merenda che sua mamma le aveva messo nella bisaccia, e che avrebbe meritato di mangiare da solo per aver seguito per chilometri Gesù, quel ragazzino è un antesignano del Patto Educativo perché sospinto da un sentimento di fratellanza universale e di servizio agli altri. Invece coloro che trangugiavano da soli il loro pranzo al sacco nascosti dietro ai cespugli, sono emblema di coloro che allora come oggi, pensano che quello che hanno se lo sono guadagnato da soli e tengono tutto solo per se.

V.

Un particolare di questo Vangelo mi ha sempre interrogato: perché Gesù ha moltiplicato così tanto pane da avanzarne 12 canestri pieni? Ha sbagliato le misure? Ha fatto il miracolo di moltiplicare il pane e non ha fatto il miracolo di sapere esattamente quanto pane avrebbero mangiato?

La risposta mi venne pensando alla cuoca che avevamo in missione in Mozambico, mamã Felicidade. L’economo della nostra comunità la rimproverava continuamente perché preparava troppo da mangiare e avanzava sempre del cibo. Ma lei candidamente mi diceva, “Padre, bisogna sempre avanzare del cibo, perché quando arrivano i poveri a chiedere qualcosa da mangiare, cosa facciamo se non è avanzato nulla? Lei ragionava da buona africana, nella logica della condivisione, dell’attenzione agli altri, della famiglia allargata e non secondo le logiche calcolatrici di noi europei. Non si può non offrire nulla a un povero che ti chiede cibo, dopo che tu hai mangiato a sazietà.

Anche i 5.000 uomini del vangelo mangiarono a sazietà, e per questo deve esserci del pane anche per coloro che non erano presenti e chiederanno da mangiare. Quando si è mangiato a sazietà è un obbligo pensare agli altri: “Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto”. Papa Francesco ci ricorda che oggigiorno un terzo del cibo viene sprecato, buttato via. Gesù invece ci ha detto di raccogliere il cibo avanzato perché nulla vada perduto. Un giorno dovremo rendere conto del cibo che abbiamo sprecato, dopo aver mangiato a sazietà.

VI.

E allora quando siamo tentati a pensare solo a noi stessi autogiustificando il nostro egoismo dicendo che noi lavoriamo duro, ricordiamoci dei boia-frias sotto il sole cocente dell’America Latina e delle mamanas delle machambe aride dell’Africa. E quando siamo tentati a ignorare il dramma dei nostri fratelli di qualsiasi parte del mondo, ricordiamoci di quel ragazzino che non ha avuto paura di tirar fuori i suoi pani d’orzo e i due pesci e si è guadagnato in cambio il sorriso di Dio.


🇵🇹 O SORRISO DE DEUS

Uma reflexão para o 17º Domingo, T.O. - B. (25-7-2021)

< Jn.6,1-15 (A multiplicação dos pães).

I.

Há cerca de 25 anos, depois de regressar da missão no Brasil, exerci o meu ministério pastoral na Suíça durante algum tempo, antes de ser enviado para África. Alguns anos mais tarde, enquanto estava de férias em Itália, fui convidado para uma reunião numa das paróquias onde tinha servido na Suíça, para falar sobre as missões. Falei da miséria em que vivia a maioria das pessoas na América Latina e África, e da grande injustiça de que 80% dos recursos do mundo estão nas mãos de 20% da população. No final, uma senhora que estava incomodada com o que eu tinha dito disse-me de forma irritada: "nós estamos bem aqui, somos ricos, porque trabalhamos muito". Então não me conseguiu reter e, talvez descaradamente, eu ri-me na sua cara e disse-lhe: "Podes dizer isso a ti mesma ou aos teus compatriotas, para saldares a tua consciência, mas não venhas dizer-me tais disparates".

II.

A senhora, aborrecida, disse-me que todas as manhãs se levantava às 7 horas e depois ia com o seu carro para o trabalho. Fazia um intervalo de uma hora para almoçar na cantina ou num restaurante e no início da tarde, após sete horas de trabalho num ambiente com ar condicionado, regressava a casa. E no final de um mês de trabalho ela receberia o seu bom salário, o fruto, disse ela, do seu suor.

Eu respondi: Na América Latina há milhões de boia-fria que se levantam às três horas da manhã para apanhar o camião que os recolhe e os leva para os campos onde trabalham até 12 horas por dia, na sua maioria sob o sol escaldante, com uma pausa de meia hora para comer a sua comida não aquecida (daí o nome boia-fria). E no final do mês receberam um salário miserável que nem sequer seria suficiente para a senhora suíça pagar pelo café que bebia num mês.

Também em África, as "mamanas" (mães, mulheres) saiam antes do amanhecer para trabalhar nas "machambe" (hortas) e carregar enormes pesos na cabeça durante os quilómetros e quilómetros que percorriam todos os dias. E todo este trabalho de ruptura das costas para trazer algo para comer para os seus filhos.

Será que a querida senhora suíça trabalhava mais do que estas pessoas?

Pode dizer isso a alguém que nunca viveu no chamado Terceiro Mundo, ou a alguém que só conhece o resto do mundo a partir das estâncias turísticas onde esteve de férias ou que viu através das janelas das máquinas de turismo espaciais.

III.

Ouvindo o Evangelho da "multiplicação" dos pães e peixes, pergunto-me: será que entre os cinco mil homens que tinham seguido Jesus, mais ninguém tinha levado comida, petiscos, um almoço, se não só aquele rapazinho?

Penso que outros tinham algo nos seus alforges, mas devem ter pensado: "esta é a comida que comprei com o meu próprio dinheiro, para mim e para a minha família. Porquê partilhá-lo com esses vagabundos?". Provavelmente esconderam-se atrás de algum arbusto para comerem o seu almoço, "fruto do próprio suor". Assim, em vez de o partilharem, como aquele rapaz fez, eles próprios o comeram sozinho. E os outros? Que se virem.

Imaginemos a cena: por um lado, estas pessoas de mente pequena que comem a sua comida à pressa para não terem de partilhar nada com os outros, e por outro, este rapaz que entrega o seu alforje a Jesus que está a sorrir para ele.

IV.

O Papa Francisco, como sabemos, lançou o Pacto Global de Educação para mudar o mundo através da educação. Precisamos de mudar as ideias de economia, política e desenvolvimento, porque as ideias que hoje são ensinadas nas escolas e universidades apenas servem para manter o status quo, para deixar o mundo tal como está, onde os poucos que têm as possibilidades as exploram para se enriquecerem cada vez mais, esquecendo o resto da humanidade que vive na pobreza. É por isso que o Papa convida todos aqueles que trabalham directa ou indirectamente na educação a empenharem-se na construção da fraternidade universal (o principal objectivo do Pacto Educativo) através da promoção da pessoa e não do indivíduo, investindo as melhores energias na educação de qualidade para todos e educando para se colocarem ao serviço da comunidade.

Aquele rapazinho que ofereceu o seu lanche que a sua mãe tinha posto no seu alforje, e que merecia comer sozinho por ter seguido Jesus durante quilómetros, aquele rapazinho é um precursor do Pacto Educativo porque é movido por um sentimento de fraternidade universal e de serviço aos outros. Por outro lado, aqueles que devoraram o seu almoço por conta própria, escondendo-se atrás dos arbustos, são emblemáticos daqueles que, então como agora, pensam que o que têm, ganharam por conta própria e guardam tudo para si próprios.

V.

Um detalhe deste Evangelho sempre me intrigou: porque é que Jesus multiplicou tanto pão que havia 12 cestos cheios de sobra? Será que se enganou nas medições? Será que fez o milagre de multiplicar o pão e não fez o milagre de saber exactamente quanto pão comeriam?

A resposta veio-me à cabeça quando pensei na cozinheira que tínhamos na missão em Moçambique, Mamã Felicidade. O ecónomo da nossa comunidade continuamente chamavam atenção dela por preparar demasiada comida e por ter sempre alguma sobra. Mas ela disse-me maravilhada: "Padre, devemos ter sempre ter um pouco de comida que sobra, porque quando os pobres vêm e pedem algo para comer, o que fazemos se não sobrou nada? Ela pensava como uma boa africana, na lógica da partilha, de cuidar dos outros, da família alargada, e não de acordo com a lógica calculista de nós, europeus. Não se pode oferecer nada a uma pessoa pobre que nós pede comida, depois de termos comido a saciedade.

Mesmo os 5.000 homens do evangelho comeram a saciedade, e por isso deve sobrar pão também para aqueles que não estavam presentes e iriam pedir comida. Quando uma pessoa já comeu bem, é obrigado a pensar nos outros: "Recolhem os restos, para que nada se perca". O Papa Francisco lembra-nos que actualmente um terço da comida é desperdiçado, deitado fora. Jesus disse-nos para recolhermos os restos de comida de modo a que nada se perca. Um dia teremos de prestar contas dos alimentos que desperdiçámos, depois de termos comido a saciedade.

VI.

Assim, quando somos tentados a pensar apenas em nós próprios e a justificar o nosso egoísmo dizendo que trabalhamos arduamente, recordemos os boia-frias sob o sol escaldante da América Latina e as mamanas das machambas áridas de África. E quando formos tentados a ignorar a situação dramática dos nossos irmãos em qualquer parte do mundo, recordemos aquele rapazinho que não teve medo de oferecer os seus pães de cevada e os dois peixes e que em troca, ganhou o sorriso de Deus.


🇬🇧 THE SMILE OF GOD

A reflection for the 17th Sunday, T.O. - B. (25-7-2021)

< Jn.6,1-15 (The multiplication of the loaves).

I.

About 25 years ago, after returning from the mission in Brazil, I carried out my pastoral ministry in Switzerland for a while, before being sent to Africa. Some years later, while on holiday in Italy, I was invited to a meeting in one of the parishes where I had served in Switzerland, to talk about the missions. I spoke about the misery in which most of the people in Latin America and Africa lived, and the great injustice that 80% of the world's resources are in the hands of 20% of the population. At the end, a lady who was annoyed by what I had said, said in an irritated manner: "we are fine here, we are rich, because we work a lot". Then, perhaps uncharitably, I laughed in her face. And I said to her: "You can tell that to yourself or to your countrymen, to salve your conscience, but don't tell me such nonsense".

II.

The lady, annoyed, told me that every morning she got up at 7 a.m. and then she went to work with her car. She would take a one-hour lunch break to eat at the canteen or a restaurant and in the early afternoon, after seven hours of work in an air-conditioned environment, she would return home. And at the end of a month of hard work she would receive her nice salary, the fruit, she said, of her sweat.

I replied: In Latin America there are millions of boia-fria who get up at three o'clock in the morning to get the truck that picks them up to take them to the fields where they work up to 12 hours a day, mostly under the scorching sun, they have a half-hour break to eat their unheated food (hence the name boia-fria). And at the end of the month they received a miserable salary that would not even be enough for the Swiss lady to pay for the coffee she drank in a month.

In Africa, too, I used to see the "mamanas" (mothers, women) going out before dawn to work in the "machambe" (vegetable gardens) and carrying enormous weights on their heads for the kilometres and kilometres they walked every day. And all this backbreaking work to bring something to eat for their children.

Could it be that the dear Swiss lady worked harder than these people?

You can tell that to someone who has never lived in the so-called Third World, or to someone who only knows of the rest of the world from the holiday resorts where they have been on holiday or which they have seen through the portholes of tourist space shuttles.

III.

Listening to the Gospel of the "multiplication" of the loaves and fishes, I ask myself: could it be that among the five thousand men who had followed Jesus, no one else had taken food, snacks, a packed lunch with them, if not only that little boy?

I think that others had something in their saddlebags, but they must have thought: "this is the food I bought with my own money, for myself and for my family. Why should I share it with those bums?". They probably hid behind some bush to eat their packed lunch, "the fruit of their sweat". So, instead of sharing it, like that boy did, they ate it themselves. And the others? It's not my problem.

Let us imagine the scene: on the one hand, these narrow-minded people who eat their food in a hurry so as not to have to share anything with the others, and on the other hand, this boy who hands his saddlebag to Jesus who is smiling at him.

IV.

Pope Francis, as we know, launched the Global Educational Pact to change the world through education. We need to change the ideas of economics, politics and development, because the ideas that are taught today in schools and universities only serve to maintain the status quo, to leave the world as it is, where the few who have the possibilities exploit them to get richer and richer, forgetting about the rest of humanity who live in poverty. This is why the Pope invites all those who work directly or indirectly in education to commit themselves to building universal brotherhood (the main purpose of the Educational Pact) through the promotion of the person and not the individual, investing the best energies in quality education for all and educating to put themselves at the service of the community.

That little boy who offered his snack that his mother had put in her saddlebag, and who deserved to eat alone for having followed Jesus for miles around, that little boy is a forerunner of the Global Compact on Education because he is driven by a feeling of universal brotherhood and service to others. On the other hand, those who gobbled down their packed lunch on their own, hiding behind the bushes, are emblematic of those who, then as now, think that what they have they have earned on their own and keep everything for themselves.

V.

One detail of this Gospel has always puzzled me: why did Jesus multiply so much bread that left 12 baskets full? Did he get the measurements wrong? Did he perform the miracle of multiplying bread and not perform the miracle of knowing exactly how much bread they would eat?

The answer came to me when I thought of the cook we had in the mission in Mozambique, Mamã Felicidade. The bursar of our community continually reproached her for preparing too much food and always having some left over. But she candidly told me, "Father, we must always have food left over, because when the poor come and ask for something to eat, what do we do if there is nothing left over? She was thinking like a good African, in the logic of sharing, of caring for others, of the extended family, and not according to the calculating logic of us Europeans. You cannot offer nothing to a poor person who asks you for food, after you have eaten your fill.

Even the 5,000 men in the gospel ate their fill, and so there must be bread even for those who were not present and asked for food. When one has eaten one's fill, it is an obligation to think of others: "Pick up the leftovers, so that nothing is lost". Pope Francis reminds us that nowadays one third of food is wasted, thrown away. Jesus told us to collect the leftover food so that nothing is lost. One day we will have to account for the food we have wasted, after we have eaten our fill.

VI.

So when we are tempted to think only of ourselves and self-justify our selfishness by saying that we work hard, let us remember the executioner-frias under the scorching sun of Latin America and the mamanas of the arid machambas of Africa. And when we are tempted to ignore the plight of our brothers anywhere in the world, let us remember that little boy who was not afraid to pull out his barley loaves and two fish and earned God's smile in return.




21 visualizzazioni0 commenti
Post: Blog2 Post
bottom of page