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🇮🇹 È TUTTA UN’ALTRA COSA 🇵🇹 É UMA COISA COMPLETAMENTE DIFERENTE


🇮🇹 È TUTTA UN’ALTRA COSA

(testo e video in 🇮🇹 italiano)

Una riflessione per la XXXII Domenica, del Tempo Comune - C (6-11-2022)

< Lc 20,27-38 (La vedova e i sette mariti).

I.

Quando ero in Africa ho passato vari anni a studiare la cultura, la filosofia , le tradizioni di quel popolo al quale ero stato inviato. Tra le tante cose interessanti che ho conosciuto, c’era però una tradizione che non riuscivo a comprendere e che mi sembrava disumana, chiamata con il nome di “rito della purificazione”, che consisteva nell’obbligo per una donna rimasta vedova, di sposarsi con il cognato, fratello del marito morto. Mi sembrava una cosa così assurda che nel terzo millennio sussistevano ancora costumi così arcaici e maschilisti che penalizzavano la donna obbligata a sposare qualcuno che non aveva scelto. (Anche in Italia fino a non molto tempo fa, come successe anche alla Santa Paola Elisabetta Cerioli, i mariti erano scelti dai genitori. Tutt’oggi nella cultura indiana, come ho potuto constatare di persona quando sono andato in India, i mariti sono scelti ancora dai genitori. Alla vigilia del matrimonio ho chiesto a una sposa: “Com’è tuo marito, è una brava persona?” Lei mi rispose: “Non lo so, non lo conosco!”).

Durante un incontro con gli anziani di una comunità della missione in cui mi trovavo in Africa, espressi loro la mia indignazione a riguardo di questa imposizione alle donne di sposare il cognato, e loro dopo avermi lasciato sfogare e dire tutto quello che pensavo mi risposero con calma: “Padre, si metta al nostro posto. Se suo figlio che vive con lei nella sua casa con la propria moglie a un certo punto muore, lei accetterebbe in casa un estraneo che sua nuora rimasta vedova vorrebbe sposare? Così si ritroverebbe oltre al figlio morto, una donna in casa che non è sua figlia e un altro uomo che lei vuole sposare e che per voi è uno sconosciuto”.

II.

Il “rito della purificazione” africano, è una variazione della “legge del levirato” che abbiamo sentito nel vangelo di oggi, della donna rimasta vedova e che sposa i sette fratelli. Questa legge vuole che una donna rimasta vedova debba sposare il cognato (levir - levirato) fratello del marito morto per dargli una discendenza.

Per chi non credeva nella resurrezione dei morti, era di estrema importanza la discendenza. Per loro, con la morte tutto finiva e se si moriva senza figli si scompariva per sempre dalla faccia della terra, mentre i figli invece avrebbero garantito una continuità nel mondo. Per questo la sterilità era la peggiore disgrazia che poteva capitare a una donna. Con questa legge, oltre alla perpetuità del nome (DT 25,6) si voleva garantire anche la permanenza dell’eredità dentro al clan familiare (Gen 38, Rt 4).

Quest’obbligo non riguardava solo la donna, ma anche il cognato perché nel caso si rifiutasse di unirsi alla vedova del fratello veniva disonorato: “sua cognata si avvicinerà in presenza degli anziani, gli toglierà il sandalo dal piede, gli sputerà in faccia e prendendo la parola dirà: “Così sarà fatto all’uomo che non vuole ricostruire la famiglia del fratello. La famiglia di lui sarà chiamata in Israele famiglia dello scalzato” (Dt 25,9-10).

III.

I Sadducei appartenevano a un partito aristocratico che aveva molto potere al tempo di Gesù, erano alleati dei romani, avversari dei Farisei i quali erano molto più popolari di loro. Essendo ricchi, avevano già tutto quello di cui avevano bisogno e non credevano nella risurrezione dei morti. Per questo vollero ridicolizzare Gesù davanti a tutti con quella storiella della donna “ammazza-mariti” rimasta vedova sette volte: «La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». Possiamo immaginare le risate e gli sberleffi contro Gesù che pensavano in questo modo di averlo vinto. Questa questione sollevata dai Sadducei riguarda anche il nostro presente, in particolare coloro che si sono sposati varie volte in questa vita: nella vita futura di chi saranno marito e moglie già che si sono sposati più di una volta?

Gesù con calma assoluta e in modo sorprendente mostra ai Sadducei che in realtà loro, così come tutti coloro che non credono nella vita dopo la morte, non hanno compreso la Parola di Dio che fin dall’inizio parla del Dio dei viventi e non dei morti (Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe… Non solo Dio è il Vivente, ma anche i patriarchi sono viventi). Nella vita futura non esisterà più la morte, e non ci sarà più bisogno di essere mariti o mogli perché saremo come angeli, figli della risurrezione. Sposarsi e procreare è una realtà di questo mondo, non di quello futuro. Il futuro ci riserverà novità inimmaginabili.

IV.

Allora qualcuno potrebbe chiedere: “Nell’aldilà ritroverò i miei genitori, figli, marito, moglie, tutte le persone che ho amato?” Certo che li ritroverò ma in un’altra dimensione, non più legati alla carne corruttibile (con le sue leggi di sangue) ma alla carne resuscitata. Cosa sarà o cosa saremo nella vita futura non lo possiamo sapere ora, ma certamente sarà qualcosa molto migliore della realtà in cui viviamo sottomessa alla malattia, alla sofferenza, al peccato, alla morte.

Ciò a cui siamo chiamati oggi nel Vangelo è alla fede in Gesù e alla sua parola circa la vita futura. La risurrezione della carne e la vita eterna non è un’invenzione della Chiesa, ma è lo stesso Gesù che ce ne da conferma non solo con le sue parole, ma con la sua stessa resurrezione. Ci viene chiesto di avere fede in Lui, e poi cosa sarà il Paradiso sarà un’enorme sorpresa che nemmeno possiamo lontanamente immaginarci. Sappiamo solo, e scusate se è poco, che noi “saremo come Dio, perché lo vedremo, così come Egli è”, come ci ricorda San Paolo.

V.

Concludo con una storiella raccontata da Padre Cantalamessa, a riguardo di com'è il Paradiso.

«In un monastero medievale vivevano due monaci legati tra loro da profonda amicizia. Uno si chiamava Rufo e l'altro Rufino. In tutte le ore libere non facevano che cercare di immaginare e descrivere come sarebbe stata la vita eterna nella Gerusalemme celeste. Rufo che era un capomastro se l'immaginava come una città con porte d'oro, tempestata di pietre preziose; Rufino che era organista, la immaginava tutta risonante di celesti melodie. Alla fine fecero un patto: quello di loro che sarebbe morto per primo sarebbe tornato la notte successiva, per assicurare l'amico che le cose stavano proprio come le avevano immaginate. Sarebbe bastata una parola: se era come avevano pensato avrebbe detto: taliter(tale e quale); se era diversa avrebbe detto: aliter( diversa).

Una sera, mentre era all'organo il cuore di Rufino si fermò. Rufo attese per mesi e finalmente, nell'anniversario della morte, ecco che in un alone di luce entra nella sua cella Rufino. Vedendo che tace, è lui a chiedergli, sicuro della risposta affermativa: taliter? “È così, vero?” Ma l'amico scuote il capo in segno negativo. Disperato, grida allora: aliter? “È diverso?” Di nuovo un segno negativo del capo. E finalmente dalle labbra chiuse dell'amico escono, come in un soffio, due parole: Totaliter aliter: “è tutt'un'altra cosa!” Rufo capisce in un lampo che il cielo è infinitamente di più di quello che avevano immaginato, che non si può descrivere, e di lì a poco muore anche lui, per il desiderio di raggiungerlo».

Questa storia nasconde una verità profonda. Come sarà il Paradiso? Non lo sappiamo e non serve a nulla scervellarci a immaginare come sarà o no sarà. L’unica cosa che sappiamo, e scusate ancora una volta se è poco, è che il Paradiso è Totaliter aliter: “è tutt'un'altra cosa!”


(Nell’immagine di fondo, la foto che ho scattato alla mostra di Van Gogh a Roma il 3 novembre 2022. Nella musica di fondo “Nuovo Cinema Paradiso - Love Theme (Piano)



🇵🇹 É UMA COISA COMPLETAMENTE DIFERENTE

(texto e vídeo em 🇵🇹 português )

Uma reflexão para o XXXII Domingo, Tempo Comum - C (6-11-2022)

< Lc 20,27-38 (A viúva e os sete maridos).

I.

Quando estive em África, passei vários anos a estudar a cultura, filosofia e tradições das pessoas a quem tinha sido enviado. Contudo, entre as muitas coisas interessantes que vim a conhecer, havia uma tradição que eu não conseguia compreender e que me parecia desumana, chamada "rito de purificação", que consistia na obrigação de uma mulher viúva casar com o seu cunhado, o irmão do seu falecido marido. Pareceu-me tão absurdo que no terceiro milénio ainda existiam costumes tão arcaicos e machistas que penalizavam a mulher obrigada a casar com alguém que ela não tinha escolhido. (Mesmo em Itália até não há muito tempo, como aconteceu com Santa Paula Elisabetta Cerioli, os maridos eram escolhidos pelos pais. Ainda hoje, na cultura indiana, como vi por mim próprio quando fui à Índia, os maridos são escolhidos pelos pais. Na véspera do seu casamento, perguntei a uma noiva indiana: "Como é o teu marido, é uma boa pessoa?” Ela respondeu: "Não sei, não o conheço!").

Durante um encontro com os anciãos de uma comunidade na missão onde estive em África, expressei-lhes a minha indignação por esta imposição às mulheres de casarem com os seus cunhados, e eles, depois de me deixarem desabafar e dizer tudo o que eu pensava, responderam calmamente: "Padre, coloca-se no nosso lugar. Se o seu filho que vive consigo em sua casa com a sua própria mulher morrer em algum momento, aceitaria em sua casa um estranho com quem a sua nora viúva gostaria de casar? Então estaria, além do seu filho morto, com uma mulher em casa que não é sua filha e outro homem com quem ela quer casar e que é um estranho para si".

II.

O "rito de purificação" africano é uma variação da "lei do levirato” que ouvimos no Evangelho de hoje, da mulher viúva que casou com os sete irmãos. Esta lei estabelece que uma mulher viúva deve casar com o cunhado (levir - levirato) irmão do seu falecido marido para lhe dar descendência.

Para aqueles que não acreditavam na ressurreição dos mortos, a descendência era da maior importância. Para eles, com a morte tudo acaba e se uma pessoa morresse sem filhos desapareceria para sempre da face da terra, enquanto os filhos assegurariam a continuidade no mundo. É por isso que a esterilidade era a pior desgraça que podia acontecer a uma mulher. Com esta lei, para além da perpetuidade do nome (Dt 25,6), a permanência da herança no seio do clã familiar deveria também ser garantida (Gen 38, Rt 4).

Esta obrigação não se aplicava apenas à mulher, mas também ao cunhado, porque se ele se recusasse a juntar-se à viúva do seu irmão, seria desonrado: «a sua cunhada subirá na presença dos mais velhos, tirará a sandália do pé, cuspir-lhe-á na cara e, falando, dirá: "Isto será feito ao homem que não quiser reconstruir a família do seu irmão. A sua família será chamada em Israel a família do descalçado”»(Dt 25,9-10).

III.

Os saduceus pertenciam a um partido aristocrático que tinha muito poder na época de Jesus; eram aliados dos romanos e opositores dos fariseus, que eram muito mais populares do que eles. Sendo ricos, já tinham tudo o que precisavam e não acreditavam na ressurreição dos mortos. Foi por isso que quiseram ridicularizar Jesus diante de todos com aquela história sobre a mulher que ficou viúva sete vezes: "A mulher então, na ressurreição, de quem será esposa? Pois todos os sete a levaram para esposa". Podemos imaginar as gargalhadas contra Jesus, eles pensavam desta forma tê-lo vencido. Esta questão levantada pelos saduceus também diz respeito ao nosso presente, particularmente àqueles que já foram casados várias vezes nesta vida: na vida futura de quem serão marido e mulher já casaram mais de uma vez?

Jesus com absoluta calma e de forma surpreendente mostra aos saduceus que na realidade eles, assim como todos aqueles que não acreditam na vida após a morte, não compreenderam a Palavra de Deus que desde o início fala do Deus dos vivos e não dos mortos (Deus de Abraão, Isaac, Jacob... Não só Deus é o vivente, mas também os patriarcas estão vivos). Na vida futura não haverá mais morte, e não haverá mais necessidade de ser maridos ou esposas porque seremos como anjos, filhos da ressurreição. O casamento e a procriação é uma realidade deste mundo, não do futuro. O futuro vai conter novidades inimagináveis para nós.

IV.

Então alguém poderá perguntar: "No futuro, encontrarei os meus pais, filhos, marido, mulher, todas as pessoas que amei?" Claro que os encontrarei novamente, mas noutra dimensão, já não ligados à carne corruptível (com as suas leis do sangue), mas à carne ressuscitada. O que será ou o que seremos na vida futura não podemos saber agora, mas será certamente algo muito melhor do que a realidade em que vivemos, sujeita à doença, ao sofrimento, ao pecado e à morte.

Aquilo a que hoje somos chamados no evangelho é a fé em Jesus e na sua palavra sobre a vida vindoura. A ressurreição da carne e a vida eterna não é uma invenção da Igreja, mas é o próprio Jesus que nos dá confirmação disto não só pelas suas palavras, mas pela sua própria ressurreição. O que nos é pedido é que tenhamos fé Nele. O que o Paraíso será é uma enorme surpresa que nem sequer podemos começar a imaginar. Só sabemos, e desculpem-me se isto é pouco, que “seremos como Deus, porque O veremos, tal como Ele é”, como São Paulo nos lembra.

V.

Concluo com uma pequena história contada pelo Padre Cantalamessa sobre como é o Paraíso.

"Num mosteiro medieval viveram dois monges ligados entre si por uma profunda amizade. Um chamava-se Rufus e o outro Rufinus. Em todas as suas horas de folga não fizeram mais do que tentar imaginar e descrever como seria a vida eterna na Jerusalém celestial. Rufinus, que era um mestre construtor, imaginava-a como uma cidade com portões dourados, cravejada de pedras preciosas; Rufinus, que era um organista, imaginava-a a ressoar com melodias celestiais. No final fizeram um pacto: aquele que morreria primeiro regressaria na noite seguinte, para assegurar ao seu amigo que as coisas eram exactamente como tinham imaginado. Uma palavra seria suficiente: se fosse como eles tinham imaginado ele diria: taliter (tal e qual); se fosse diferente ele diria: aliter (diferente).

Uma noite, enquanto ele estava no órgão, o coração de Rufinus parou. Rufus esperou meses e finalmente, no aniversário da sua morte, Rufinus entrou na sua cela num halo de luz. Vendo que está em silêncio, ele pergunta-lhe, certo da resposta afirmativa: taliter? "É isso mesmo, não é?" Mas o seu amigo abana a cabeça de forma negativa. Desesperado, ele então grita: aliter? "É diferente?" Mais uma vez um sinal negativo da cabeça. E finalmente dos lábios fechados do seu amigo saem, como que num sopro, duas palavras: totaliter aliter: “é uma coisa completamente diferente!” Rufus apercebe-se num instante que o céu é infinitamente mais do que tinham imaginado, que não pode ser descrito, e pouco tempo depois também ele morre do desejo de o alcançar".

Esta história esconde uma verdade profunda. Como será o céu? Não sabemos, e não vale a pena racionar com os nossos cérebros para imaginar como será ou não será. A única coisa que sabemos, e mais uma vez desculpem-me se é pouco, é que o Paraíso é Totaliter aliter: "é uma coisa completamente diferente"!


(Na imagem de fundo, a fotografia que tirei na exposição Van Gogh em Roma, a 3 de Novembro de 2022. Na música de fundo "Nuovo Cinema Paradiso - Tema do Amor (Piano)


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