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🇮🇹 LA BANALITÀ DEL MALE 🇵🇹 A BANALIDADE DO MAL


🇮🇹 LA BANALITÀ DEL MALE

(testo e video in 🇮🇹 italiano)

Una riflessione per la I Domenica di Quaresima A (26-2-2023)

< Mt. 4,1-11 (Gesù tentato nel deserto)

I.

È possibile fare del male senza essere malvagi? Era quanto si chiedeva la bravissima filosofa ebrea Hannah Arendt agli inizi degli anni ’60 mentre seguiva il processo per crimini di guerra contro Adolf Eichmann il funzionario nazista chiamato “l’architetto dell’Olocausto”, responsabile dell’organizzazione del trasporto di milioni di ebrei verso i campi di concentramento di Auschwitz dove furono uccisi.

Nel suo libro “La banalità del male” Hannah sostiene che Eichmann più che un mostro era un noioso burocrate ordinario , spaventosamente normale, che compì cose orrende non per malvagità ma solo per obbedienza ai comandi ricevuti, senza rendersene conto delle mostruosità che stava compiendo. Per questo lo definisce come “l’incarnazione dell’assoluta banalità del male”, in quanto era un mediocre funzionario che pensava solo alla sua carriera nel Reich per il quale però lui rimase sempre e solo un burocrate ordinario. (Qualcuno ha detto che “La banalità è la droga della gente mediocre”. Viniamin).

Questa idea della Harendt suscitò molte polemiche e controversie. Venne accusata di soffermarsi troppo sull’insignificante figura di Eichmann (che tra l’altro non era così inconsapevole, come lei lo dipingeva) più che sulle sue azione mostruose.

In realtà Eichmann era un uomo spietato, fervente sostenitore dell’ideologia nazista, difensore dell’idea della pulizia etnica, e non si mostrò mai pentito per quello che aveva fatto, anzi ebbe a dire: «Salterò nella mia tomba ridendo, perché la sensazione di avere sulla coscienza cinque milioni di esseri umani è per me fonte di straordinaria soddisfazione».

Il libro “La banalità del male” fu criticato da molti come un libro pieno di banalità. Eppure la Arendt era una filosofa tutt’altro che banale e altrove aveva già trattato il tema del male radicale incarnato nell’assoluta malvagità del nazismo (“il male demoniaco”). Quindi deve esserci una verità più profonda che la Arendt voleva trasmettere, ma che ancora oggi sfugge.

II.

Per molti il male è una cosa di banale ordinarietà, la cui origine risale ai primordi dell’umanità (come abbiamo sentito nella prima lettura con il racconto del giardino dell’Eden) ma paradossalmente viene considerato addirittura come un bene. Dicono che se il male scomparisse dalla faccia della terra, sarebbe un disastro: molte centinaia di milioni di persone rimarrebbero senza lavoro, (come aveva ben descritto con tagliente ironia Alberto Sordi nel suo film “Finché c’è guerra c’è speranza”.).

Se tutti gli uomini diventassero improvvisamente buoni, non ci sarebbe più bisogno di Poliziotti, vigili, giudici, avvocati, leggi, codici, processi, investigazioni, tribunali, prigioni. Non ci sarebbero più guerre e milioni di soldati, mercanti di armi etc. resterebbero senza lavoro.

Se non ci fosse il male della malattia, quanti dottori, infermieri, terapisti, ospedali, cliniche, farmacie e case farmaceutiche, etc. resterebbero senza lavoro (ricordo che anni fa un signore che lavorare da anni per un progetto di prevenzione di una malattia infettiva mortale, quando scoprirono il vaccino piangeva perché non c’era più bisogno di lui).

Senza il male della morte, quante agenzie funebri, cimiteri, venditori di candele e fiori, etc. dovrebbero chiudere.

Se non ci fosse il limite della fame e tutti fossimo autonomi senza bisogno di mangiare, il settore alimentare, della produzione, lavorazione, trasporto, vendita, imballaggio, etc... sarebbe in ginocchio.

Senza il male delle dipendenze quanti produttori di stupefacenti, droghe, alcool, tabacco, case di gioco d’azzardo, di scommesse clandestine, casinò, etc… andrebbero in fallimento?

Ecco che allora abbiamo imparato a convivere col male, non solo, ci sguazziamo pure al punto che sarebbe un male se il male scomparisse.

III.

Mi ha sempre impressionato come gli evangelisti, con il racconto della tentazione di Gesù nel deserto, anche loro presentino la banalità del male mettendo in scena un diavolo che si rivolge a Gesù come un venditore ambulante che tenta di vendere i suoi prodotti 3x2 o come un venditore di oggetti usati su e-bay.

È esattamente questa la logica del male, la normalità, la banalità. Il diavolo si presenta davanti a Gesù, che dopo trent’anni di ritiro a Nazareth si affaccia ora sulla scena pubblica, per introdurlo nel mondo, con naturalezza. Lo vuole introdurre in un mondo dominato dalla dipendenza dalle cose, dai piaceri (raffigurati nella figura del pane); un mondo dominato dalla smania di possedere (“tutto ciò che vedi sarà tuo”) e dalla miscredenza e adorazione di idoli (“buttati giù dal tempio”) . E il tutto è ben condito con discorsi persuasivi, com eleganza, con banalità dando per scontato che il mondo è così e non ci si può fare niente. Prendere o lasciare.

Penso che proprio qui consiste il dramma e la mostruosità del male: far diventare normale (banale, appunto) il male. Il lavoro del diavolo come dice propriamente l’etimologia del suo nome è quello di “dia-ballein” separare, allontanare, porre inimicizia. Nel giardino dell’Eden aveva già operato con successo la separazione tra l’uomo appena creato e il suo Creatore. Ora, nel deserto, tenta porre inimicizia tra Gesù e il Padre. Ma stavolta il diavolo ha fatto male i conti. Pensava di trovarsi di fronte ad un altro dei suoi pollastri umani. Gesù invece non scende a compromessi, non dialoga con lui ma solo cita brani della Bibbia. Col diavolo non si tratta, lo si taglia via, come quando interrompiamo bruscamente le chiamate dei call center che vogliono propinarci le loro fregature.

IV.

Ancora oggi il diavolo si presenta con ‘nonchalance’, con l’apparenza di un burocrate ordinario (come Eichmann) vendendo i suoi prodotti mortiferi, come se vendesse automobili di seconda mano. Tutto viene presentato come normale, o come abbiamo detto sopra, addirittura come un bene. Anche nei film e nelle serie televisive che vediamo tutti i giorni traspare la banalità del male, e ci siamo già abituati all’idea che è normale sniffare cocaina, ingerire pasticche, ubriacarsi continuamente, tradire i propri partner, abbandonarsi a relazioni promiscue. È una cosa normale truffare, rubare, ingannare, sparlare, disprezzare (soprattutto i più deboli e fragili). I drammi e le tragedie diventano una banale routine alla quale ci assuefiamo rapidamente, ci abituiamo all’orrore della guerra, o ai migliaia di annegati nel mare mediterraneo, per i quali la nostra compassione dura tanto quanto i secondi della notizia in TV o in internet; magari ci lasciamo scappare anche un “poverini” ma poi spegniamo la TV o il computer e usciamo a fare due passi in centro o a vedere un film al cinema come se niente fosse.

Ecco che allora Gesù ci insegna a non rassegnarci alla banalità del male. Il male non è mai banale, è come un cancro che si insinua nel nostro corpo e piano piano uccide tutte le nostre cellule, e quando ce ne rendiamo conto siamo già nell’anticamera della morte.

Al male ci si può opporre, come Gesù che nel deserto non ha lasciato spazio al suo interlocutore che lo tentava. Al male si può dire di no, come Franz Jägerstätter, il giovane contadino austriaco che preferì farsi uccidere piuttosto che obbedire a Hitler. Per questo non vale la scusa dire “stavo solo obbedendo agli ordini”. Papa Francesco parlando proprio di Franz Jägerstätter ai giovani europei disse: “Se tutti i giovani chiamati alle armi avessero fatto come lui, Hitler non avrebbe potuto realizzare i suoi piani diabolici. Il male per vincere ha bisogno di complici”. E ha invitato tutti alla disobbedienza di fronte alla chiamata alla guerra.

V.

Per concludere. Hannah Arendt non ebbe mai modo di spiegare cosa intendesse con la sua espressione “La banalità del male”. Conoscendo però la sua profonda intelligenza, ella non voleva certo dire che gli orrendi crimini dei nazisti erano banali, ma erano devastanti proprio perché apparivano come banali. Definendo il male come banalità stava mostrando l’assoluta “mostruosità” del male stesso.

Ecco allora che quando cominciamo a percepire il male non come banalità ma come mostruosità e ce ne allontaniamo, inizia il nostro cammino verso la vittoria sul male.


Nella musica di sottofondo, Francesco Parrino: SCHINDLER'S LIST - MAIN THEME (John Williams) | Piano Cover + Sheet Music



🇵🇹 A BANALIDADE DO MAL

(texto e vídeo em🇵🇹 português)

Uma reflexão para o Primeiro Domingo da Quaresma A (26-2-2023)

< Mt 4,1-11 (Jesus tentado no deserto)

I.

É possível fazer o mal sem ser mau? Esta foi a questão colocada pela talentosa filósofa judia Hannah Arendt no início da década de 1960, quando acompanhou o julgamento por crimes de guerra de Adolf Eichmann, o funcionário nazi chamado "o arquitecto do Holocausto", responsável pela organização do transporte de milhões de judeus para os campos de concentração de Auschwitz, onde foram assassinados.

No seu livro “A banalidade do mal”, Hannah argumenta que Eichmann não era tanto um monstro como um burocrata vulgar e assustadoramente normal, que fazia coisas horríveis não por mal, mas apenas por obediência às ordens recebidas, sem se aperceber das monstruosidades que estava a levar a cabo. É por isso que ele o descreve como "a encarnação da banalidade absoluta do mal", pois era um funcionário medíocre que só pensava na sua carreira no Reich, para a qual, no entanto, permaneceu sempre apenas um burocrata vulgar. (Alguém disse que "a banalidade é a droga das pessoas medíocres". Viniamin).

Esta ideia de Harendt despertou muita controvérsia. Foi acusada de olhar demasiado na insignificante figura de Eichmann (que, a propósito, não estava tão inconsciente como ela o retratou), em vez de o retratar nos seus actos monstruosos.

Na realidade, Eichmann era um homem impiedoso, um fervoroso defensor da ideologia nazi, um defensor da ideia de limpeza étnica, e nunca mostrou qualquer arrependimento pelo que tinha feito, na verdade disse: “Dentro do meu túmulo vou pular a rir, porque a sensação de ter cinco milhões de seres humanos na minha consciência é para mim uma fonte de satisfação extraordinária".

O livro 'A Banalidade do Mal' foi criticado por muitos como um livro cheio de banalidades. No entanto, Arendt era uma filósofa que era tudo menos banal. Ela já tinha abordado o tema do mal radical encarnado no mal absoluto do nazismo ("o mal demoníaco"). Portanto, deve haver uma verdade mais profunda que Arendt queria transmitir, mas que ainda hoje nos escapa.

II.

Para muitos, o mal é uma coisa de vulgaridade banal, cuja origem remonta ao início da humanidade (como ouvimos na primeira leitura com o relato do Jardim do Éden), mas paradoxalmente o mesmo mal é considerado como bom. Dizem que se o mal desaparecesse da face da terra, seria um desastre: muitas centenas de milhões de pessoas estariam desempregadas, (como Alberto Sordi bem descreveu com ironia cortante no seu filme 'Finché c'è guerra c'è speranza’, Enquanto houver guerra, há esperança).

Se todos os homens de repente se tornassem bons, não haveria mais necessidade de polícias, vigilantes, juízes, advogados, leis, códigos, julgamentos, investigações, tribunais, prisões. Não haveria mais guerras e milhões de soldados, traficantes de armas, etc. ficariam desempregados.

Se não houvesse o mal da doença, quantos médicos, enfermeiros, terapeutas, hospitais, clínicas, farmácias e empresas farmacêuticas, etc. estariam desempregados (lembro-me de um senhor que trabalhava há anos num projecto para prevenir uma doença infecciosa mortal, quando descobriram a vacina ele chorou porque ele já não era mais necessário).

Sem o mal da morte, quantos funerários, cemitérios, vendedores de velas e flores, etc., teriam de fechar.

Se não houvesse o limite de fome e fôssemos todos auto-suficientes sem a necessidade de comer, a indústria alimentar, produção, transformação, transporte, venda, embalagem de comida, estaria de joelhos.

Sem o mal do vício, quantos produtores de drogas, álcool, tabaco, casas de jogo, casas de apostas ilegais, casinos, etc., entrariam em falência?

Assim, aprendemos a viver com o mal, e não só isso, até chafurdamos nele ao ponto de que seria mau se o mal desaparecesse.

III.

Sempre me impressionou a forma como os evangelistas, com o relato da tentação de Jesus no deserto, também apresentam a banalidade do mal ao representar um diabo que se dirige a Jesus como um vendedor de rua tentando vender os seus produtos 3x2 ou como um vendedor de bens usados no e-bay.

Esta é exactamente a lógica do mal: a normalidade, a banalidade. O diabo vem ter com Jesus, que após trinta anos de retiro em Nazaré aparece agora na cena pública, para o introduzir no mundo, naturalmente. Ele quer introduzi-lo num mundo dominado pela dependência das coisas, dos prazeres (representados na figura do pão); um mundo dominado pela ânsia de possuir ("tudo o que vires será teu") e pela descrença e adoração de ídolos ("atira-te do templo"). E tudo isto é bem temperado com discursos persuasivos, com elegância, com banalidades que tomam por certo que o mundo é assim e nada pode ser feito a esse respeito. É pegar ou largar.

Penso que é precisamente aqui que reside o drama e a monstruosidade do mal: em fazer o mal tornar-se normal (banal, de facto). O trabalho do diabo, como a etimologia do seu nome correctamente diz, é 'dia-ballein', separar, afastar, colocar a inimizade. No Jardim do Éden, ele já tinha feito com sucesso a separação entre o homem (Adão) recém-criado e o seu Criador. Agora, no deserto, ele tenta colocar a inimizade entre o novo Adão, Jesus e o Pai. Mas, desta vez, o diabo calculou mal. Ele pensou estar a enfrentar mais uma das suas “galinhas humanas”. Jesus, por outro lado, não se compromete, não dialoga com ele, mas apenas cita passagens da Bíblia. Com o diabo não se negoceia, corta-se-lhe o papo, como quando interrompemos abruptamente os telefonemas das centrais telefónicas de venda que nos querem oferecer o seu rasgão.

IV.

Ainda hoje o diabo se apresenta com ‘nonchalance’, sob o disfarce de um burocrata comum (como Eichmann) vendendo os seus produtos mortais, como se estivesse a vender carros usados. Tudo é apresentado como normal, ou como dissemos acima, mesmo como bom. Mesmo nos filmes e séries de TV que vemos todos os dias, a banalidade do mal brilha, e já nos habituámos à ideia de que é normal tomar cocaína, engolir comprimidos, embebedarmo-nos a toda a hora, trair os nossos parceiros, entregamo-nos a relações promíscuas. É normal trair, roubar, enganar, desprezar (especialmente os fracos e frágeis). Dramas e tragédias tornam-se uma rotina banal à qual nos habituamos rapidamente, habituamo-nos ao horror da guerra, ou aos milhares afogados no mar Mediterrâneo, pelo que a nossa compaixão dura tanto tempo como os segundos das notícias na televisão ou na Internet; talvez até deixemos escapar um 'pobrezinhos’ mas depois desligamos a televisão ou o computador e saímos para passear no centro da cidade ou para ver um filme no cinema como se nada tivesse acontecido.

Aqui então, Jesus ensina-nos a não nos resignarmos com a banalidade do mal. O mal nunca é banal, mas é como um cancro que se insinua no nosso corpo e mata lentamente todas as nossas células, e quando nos damos conta disso já estamos na antecâmara da morte.

O mal pode ser resistido, como Jesus que no deserto não deixou espaço para o seu interlocutor que o tentava. Pode-se dizer não ao mal, como Franz Jägerstätter, o jovem camponês austríaco que preferiu ser morto em vez de obedecer a Hitler. É por isso que a desculpa "eu estava apenas a obedecer a ordens" não é válida. O Papa Francisco falando precisamente sobre Franz Jägerstätter aos jovens europeus no ano passado disse: "Se todos os jovens chamados às armas tivessem feito como ele fez, Hitler não teria sido capaz de realizar os seus planos diabólicos. O mal precisa de cúmplices para vencer". E apelou à desobediência de todos perante o apelo à guerra.

V.

Para concluir. Hannah Arendt nunca foi capaz de explicar o que quis dizer com a sua expressão "A banalidade do mal". No entanto, conhecendo a sua profunda inteligência, ela certamente não quis dizer que os crimes horrendos dos nazis eram banais, mas que eram devastadores precisamente porque apareciam como banais. Ao definir o mal como banal, ela mostrava a absoluta "monstruosidade" do próprio mal.

É então que quando começamos a perceber o mal não como banalidade mas como monstruosidade e nos afastamos dele, começa o nosso caminho para a vitória sobre o mal.


  • Na música do fundo: Francesco Parrino: SCHINDLER'S LIST - MAIN THEME (John Williams) | Piano Cover + Sheet Music



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